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al testo di Amina Narimi
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Abitata dal verde non ti nascondo la piaga, luminosa, la bestia santa sul pudore della parola invincibile quando spunta il fiore non può essere detta la grazia che smaschera un Dio. - quale veggente cecità ti tiene prigioniero di ciò che sveli, non potendo sopportare il peso della libertà scegli la felicità dimentico del sapore dell’intero.
Eppure la candela rimane accesa in mezzo al più violento temporale penetrando nella sua bellezza fino al tempo del riposo. Colma, assimilando il male dopo gli occhi cammino ad ospitare il movimento del pensiero. La grazia, la grazia è il ritorno di ogni libertà, quando non c’è più nulla da fare bisogna essere, aman, anche lavandosi con l’acqua sporca ogni mattina preservandosi puri nel rituale del risveglio- come un modo per aiutare Dio, divenendo Noi divini, e cruciali, ovunque diffusi.
Incarnando la mancanza ho tenuto tra le braccia nostro figlio, nostro figlio morente, mutando la nascita in deposizione nel suo ultimo respiro ho urlato “io sono madre” rilanciando la vita prima degli occhi- dov’è radicale la forza del bene, irreversibile.- Coli dalle dita e dappertutto rimani dove il Canto risplende nel lunghissimo ora che sei |
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